mercoledì 2 maggio 2007

Sbattuto


L’altezza della vela e l’opalescente sua anima sbattevano contro il vento. Questo produceva un rumore di volo, quasi un battito d’ali: una planata. L’acqua era un continuo sciacquettio; gli schizzi spruzzavano ovunque, rimbalzando contro il legno, contro la pelle. Contro tutto ciò che c’era da bagnare. Le gocce rilucevano al sole. Era strano quel sole. Era basso, come un bimbo che si vergogna, faceva capolino da dietro la collina. Era strano davvero: aveva una tinta non già dorata, ma di seppia. Tutto assumeva un color ocra.
La madreperla vela perdeva la luminosità e la trasparenza: era offuscata, sembrava stinta, sporca, inutile, pareva dover cessare di rilucere. Continuava ad essere gonfia e tesa; continuava a spingere come animata da Cristo. Spingeva con forza, strascinando il legno tra i flutti. Rigava l’acqua, spaccandola, ferendola, squartandola. L’acqua spumava. Il graffio s’allungava sconciamente; sembrava ribollire come lava bianca.
Una nuvola di fumo giallo velava l’aria. Quella cosa prendeva avidamente vita dal bosco in fiamme.
Da lì arrivava un lamento, uno sfrigolio, poi scoppi di pianto: era la pineta che moriva bruciata. Moriva.
Il bruno dell’aria era surreale: le sbuffate di fumo lanciavano nodi d’ombra, che s’inseguivano come gabbiani.
Sul mare si vedevano passare le macchie dense che appannavano ogni cosa.
Il rumore dell’acqua non era più irregolare adesso. Lo sciabordio accompagnava il movimento.
Pulsava l’acqua; pulsavano le vene sulla sua fronte.
Tutto arrivava ad ondate.
Pure il sole s’alzava ancora, menando malamente bagliori sulle pieghe del mare.
Ora le fiamme erano visibili, si ergevano come mani impazzite e raccoglievano a mazzi gli alberi, strappandoli alla terra, per poi stritolarli nel loro stesso gemito. La massa di fuoco s’allargava, colando dalla collina, pareva davvero che gocciolasse fluida come l’acqua che scende incontro al mare. Un fiume in piena. Una valanga. La lingua di fuoco emetteva un rutto, soffocando il pianto, inginocchiando al suo passaggio il bosco, che vinto chinava la chioma.
Quasi nascosto dall’enorme vela, lui poteva osservare quella furia di fuoco, quei corpi irrigiditi, neri e privi di vita, il dimenarsi delle foglie in fiamme, il brusio della morte, che si saziava di vita.
Lui poteva osservare.
Con un boato il fuoco raggiunse il mare e acchiappò la vela e il legno e la barca tutta.
Lui fu scagliato in acqua.
Accanto all’isola di fuoco, che calava a picco, stendendosi sulle onde come un’amante che cerca riposo dopo l’amore.
Il mare era calmo, caldo, tranquillo. Con ampie bracciate, lui cominciò ad allontanarsi.
Il cielo sì riempì di un rumore: l’ombra dell’elicottero giunse come un falco.
L’elicottero scendeva e riempiva l’enorme secchio d’acqua poi lo svuotava sul fuoco, poi tornava, andava, ritornava.
Lui nuotava. Lui sicuramente nuotava e l’acqua come un gorgo, un vortice, un orrore divino, improvvisamente lo inghiottì.
Le fiamme urlavano; lui urlava; l’eliche sbattevano.
Sbattevano.

1 commento:

Anonimo ha detto...

;)